Un galoppo di bestie impazzite
scuote improvviso i prati della notte ;
lampi di sciabole accecanti tagliano,
spietati, le brezze profumate dei
giardini e mani artigliate e crudeli
profanano la penombra degli incanti,
mentre freddi arcieri invisibili
saettano a tradimento usignoli in
cerca di stelle :
è iniziato lo scempio delle rose, Amore
mio. Un orrore di zoccoli brutali sparge
dovunque la collera nera della guerra e
sprofonda le tue tenere amiche colombe
nelle cantine, livide, con occhi sbarrati.
Ti ho visto, col tuo antico passo di
piuma, aggirarti, smarrita, fra le
prime rovine : un ruggito di
bombe copriva il tuo canto di
viola, che un tempo convertiva
all’Amore il cuore impietrito di
Principi fieri.
Nei tuoi occhi stellati si riflettono
adesso lingue orrende di fuoco di
demoni, che riducono in un attimo
in cenere
i preziosi graniti dei tuoi millenari palazzi,
stracciano le tue vesti di celestiale seta, e
oltraggiano la magia dei dorati arabeschi
che le tue candide mani fatate tracciarono
amorevoli in mille notti di fiaba.
La tua, la nostra città del sogno e della
luna piena, dove insieme ci immergemmo
in torrenti di passioni d’Amore,
inseguendoci felici fra minareti di marmo
con turbanti di seta, aggirandoci, complici
sorridenti, con l’incanto della curiosità
negli occhi, fra il brulicante arcobaleno di
variopinti mercati, alla ricerca di lampade
misteriose e di tappeti avidi di cielo ;
la città dalle albe languide e sonnolenti
dopo infinite notti di piacere, con i suoi
giardini segreti e le sue fontane d’argento,
dove ci bagnavamo furtivi, rubando la
rugiada e il profumo alle rose ;
la nostra città, colorata di gioia, dalle
bandiere al vento e dagli squilli di festa,
nel candore abbagliante delle piazze
solari, dove accorrevamo per primi ad
offrire corone di narcisi a Simbad,
l’immortale signore dei mari, quando
tornava sognante,
col suo seguito altero di piumati guerrieri,
con gli occhi impregnati di lontananze, a
portarci i profumi struggenti di terre
remote ;
questa nostra città, come un esile airone
ferito a morte da colpi fatali, scivola
lentamente nell’oscura agonia dei ricordi,
dove il sorriso si spegne in singhiozzo e
dove è vano tingere d’azzurro le ombre …
Ho paura di perderti nel silenzio
arrugginito di questo tempo senza
Amore, sorriso della mia
giovinezza ; mentre ho sempre
bisogno di Te, per vincere
l’Autunno delle insidie.
Lascia, ti prego, che fra il tremito di
questa notturna angoscia, io ti sfiori la
mano anche un solo istante : se solo
avverto che ancora esisti, anch’io, una
volta ancora, mi sentirò magicamente
vivo, come gli animali di sogno delle
tue favole antiche, che risorgono eterni
dalla polvere triste delle proprie
ceneri.
Luigi Adamo
Firenze, 1991