Se oggi, dall’osservatorio dei miei 69 anni (sono nato l’11 Dicembre del 1936) cerco di individuare, fra il brulichio di mille ricordi ed emozioni che subito, come farfalle multicolori, si affollano nella mia mente, un sentimento fondamentale , che possa fare da “cornice introduttiva” alla mia vita, mi sento pervaso irresistibilmente da un profondo moto di riconoscenza.

        Perché riconoscenza? E  per chi  o  per che cosa?

        Fino alle soglie della mia giovinezza e, forse, anche oltre, io sono stato una persona molto “timida”, riservata, magari compita, “seria” e “bene educata”, ma sempre un po’  timorosa di essere troppo “pesante”, di recar molestia agli altri, di essere rifiutata e , quindi, tendenzialmente orientata a tenersi silenziosamente in disparte, a mettersi il meno possibile in mostra, a fare da osservatore attento, più che da protagonista nello scenario dell’esistenza.

        Spesso mi tornano in mente episodi della mia più remota vita scolastica,  dai quali emerge l’immagine di un “me stesso” studioso, sì, ma molte volte sofferente, intorpidito, disorientato ed inibito dinanzi all’esuberanza ed all’intraprendenza dei compagni, che non riuscivo ad “imitare”, rimanendo il più delle volte indietro e “sotto tono”, per mancanza di “spirito d’iniziativa”. Per non parlare, poi, delle “compagne”, che mi apparivano come “creature” assolutamente irraggiungibili, totalmente al di fuori delle mie “possibilità”.

         Anche il mio stesso rendimento scolastico risentiva fatalmente di questo mio traballante assetto di personalità, per cui, malgrado il mio impegno non riuscivo a “brillare” come avrei desiderato e spesso ricordo insegnanti particolarmente “spietati”, che scambiarono la mia insicurezza per “incapacità mentale”, formulando su di me giudizi particolarmente demolitori, come fece una volta un professore di matematica, quando frequentavo la quarta ginnasio del liceo classico, il quale dichiarò che non ero assolutamente in grado di affrontare gli studi e consigliò la mia famiglia di procurarmi una “patente” di ambulante, poiché, a suo dire, ero in grado di frequentare solo i mercati ortofrutticoli …

        Più volte questa dolorosa e frustrante esperienza di me stesso mi ha condotto sull’orlo di una cupa disperazione, fino a farmi credere di essere irrimediabilmente “condannato” ad una vita grigia,  isolata ed anonima.

        Ricordo ancora il mio frequente girovagare di adolescente solitario (avevo quattordici anni), durante interminabili pomeriggi domenicali, dopo essere stato distrattamente al cinema parrocchiale, con qualche raro amico dell’oratorio ; un vagabondare senza meta, in preda a mille, pessimistiche fantasticherie sul vuoto della mia vita presente e sulla angosciante nebulosità  di un mio futuro del tutto privo di attrattive; poi seguivano i miei mesti ritorni a casa, leniti soltanto dall’ascolto dei concerti di musica classica della “Martini e Rossi”, che venivano trasmessi ogni domenica alla radio, prima dell’ora di cena, nei quali mi immergevo avidamente, nella mia stanza, pensosamente raccolto nella cuffia della mia “fedele” radio-galena, alla ricerca febbrile di un po’  di armonia.  

        Eppure, questi “pensieri negativi” non sono riusciti mai a “contaminarmi” del tutto, cancellando ogni traccia di sicurezza. Quando  il corso delle mie emozioni più “crepuscolari” sembrava avere ormai preso il sopravvento su ogni residuo buon senso, una inaspettata “energia reattiva” mi è sempre venuta in aiuto, “trasformando” e facendo “rinascere” in nuove forme di vita, come in una riconquistata “leggerezza dell’essere”, ciò che di “vecchio” e di “pesante” si stava tristemente sedimentando sul mio cuore.

        Questa sorta di “dialettica” fra essere e non-essere , che anche nei momenti più difficili ha mantenuto la mia mente ed il mio cuore sempre aperti alla speranza, evitandomi il definitivo “naufragio” nel mondo del raggelante anonimato esistenziale, io lo devo non solo alla mia “natura sagittariale” , che più volte mi ha indotto a contrapporre la caparbietà e la costanza all’agguato della perdizione,  ma, soprattutto, all’incontro meraviglioso con grandi Maestri di Vita , i quali credendo in me e nelle mie possibilità , sono stati gli “avvocati difensori” di quel “bambino smarrito nel mondo dei grandi”, quale io sarei potuto drammaticamente rimanere.

        Per Maestri di Vita intendo non tanto i “Professori” che hanno promosso la mia formazione culturale e professionale – e ne ho avuti, fortunatamente, di veramente egregi ed illustri, specialmente durante la mia vita universitaria, ai quali sono profondamente grato –, ma voglio alludere soprattutto a quelle Presenze decisive , che nel corso degli anni, affiancandomi amorevolmente, mi hanno dolcemente indotto a “guardare” progressivamente con occhi nuovi lo scenario dei miei “tormenti” di bambino e di adolescente intimidito dal mondo, fino a farmi scoprire poco per volta una “nota segreta”, troppo spesso da me ignorata, ma racchiusa proprio nel cuore stesso del mio ruolo di “osservatore schivo e silenzioso”, che tanto mi aveva fatto soffrire: quella della mia capacità di vedere ed ascoltare l’invisibile , sulla quale, poi, si sono costruite tutte le fondamentali  scelte della mia esistenza, che mi hanno portato, nel clima di una nuova, entusiastica apertura,  a studiare prima la Filosofia, poi la Psicologia, per diventare Educatore, Psicologo, Innamorato della Vita, della Natura, degli Altri e della loro interiorità.

        Credo che la funzione del vero Maestro  sia proprio questa: far “rinascere” una persona dal grigiore della disperazione e dal rischio  dell’annientamento, non “insegnandole” ad essere artificialmente “un Altro”, un “modello da vetrina”,  ma aiutandola a “trasformare” in nuovo metallo prezioso ciò che prima la persona stessa considerava materia vile.

        Il Maestro  nel senso pieno del termine, infatti,  è come una “aquila benefica”, che librandosi sopra di te, a grande altezza, col suo occhio “appuntito”, penetrante, ma amorevole, che sa dominare le distanze e guardare lontano, riesce a “forare” la nebbia del dolore che ti avvolge l’anima, “snidando”la parte più preziosa di te – quella che, malgrado tutti gli errori e le deformazioni esiste ed esisterà sempre in ciascuno di noi –, “illuminandola”, facendotela intravedere e spingendoti finalmente ad esprimerla, in un rinnovato rapporto d’amore con te stesso.

        Io ho avuto la ventura di trovare accanto a me, specialmente nei momenti più dolorosi della vita, Maestri veramente degni di queste “altezze”, i quali, come magici “alchimisti” della mia esistenza,  hanno aiutato la mia personalità a crescere e a trasformarsi: ed è  da qui, per merito loro, che nasce tutta la mia riconoscenza  nei confronti della Vita. Molti di essi, ormai, non fanno più parte del mondo dei viventi, ma la loro presenza ed il loro “insegnamento”, tuttavia, rimangono scolpiti indelebilmente nel mio cuore ed aleggiano sempre attorno a me, come un intenso profumo “che sa di eterna Primavera”: e forse, anche per questo silenzioso, ma  sorridente conforto, oggi, in età senile, mi sento spinto con gioia  a “riassumere” tutta la mia vita nell’immagine di un Viaggio,  tutt’altro che concluso, verso il mio “Posto delle fragole”…

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